Fallimento e innovazione sono gemelli inseparabili
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Solitamente quando pensiamo a grandi colossi industriali, ad aziende multinazionali, a mezzibusti patinati sulle copertine del Time, difficilmente riusciamo ad associare la parola ‘fallimento’.
Il risultato finale di percorsi più o meno lunghi e dolorosi, per chi osserva da fuori, è accecante. Da qui si aprono due strade: la strada del ‘Vabbè, sarà stato raccomandato’ oppure la strada del ‘Non potrò mai raggiungere il suo livello di successo’. Quali prospettive offrono queste due alternative nella costruzione di una vita piena, gioiosa e di successo? Direi nessuna. Invidiamo molto, ragioniamo poco.
Quello che stiamo costruendo, quello che abbiamo già raggiunto nella nostra vita si cancella dalla mente con estrema facilità nel momento esatto in cui iniziamo a compararci agli altri. Non ci sta bene la nostra unicità, non crediamo più alla forza del nostro essere noi stessi. Del nostro percorso, dei nostri sforzi, dei nostri fallimenti conosciamo ogni dettaglio, e non importa quanto di buono abbiamo fatto: la negatività di ciò che non siamo riusciti a raggiungere copre e schiaccia sempre i nostri miglioramenti e piccoli traguardi. Delle persone che ammiriamo, invidiamo e, spesso, idolatriamo, invece, non conosciamo che una realtà ridotta e parziale. Questo è pericoloso: rischiamo di idealizzare e di crearci in testa immagini e convinzioni che non corrispondono al reale. Fa male a noi, fa male alla nostra crescita.
Siamo bloccati in tossici circoli infiniti di pensiero che annebbiano i nostri obiettivi e ci confondono. Di qui nasce la frustrazione. Nascono inevitabilmente le cadute e i fallimenti, nascono le rinunce e i ‘Tanto non sarà mai capace’. Se non prepariamo la nostra mente ad accettare che il nostro percorso, come quello di chiunque altro, non parta dal punto di arrivo ma si componga invece di step intermedi, fatti anche di fallimenti, sarà difficile o demotivante rialzarsi dalle cadute. Perché le cadute, per fortuna, ci saranno.
Anche quei mezzi busti che ci guardano ammiccando dalle copertine sono generalmente il risultato dei loro fallimenti. E sì, parlo al plurale. Partiamo da molto lontano. Un signore che probabilmente non ha trovato posto sulle copertine, visto che visse nella seconda metà dell’Ottocento, risponde così a un intervistatore che gli chiede ‘Come ci si sente a fallire duemila volte?’: ‘Io non ho fallito duemila volte; semplicemente ho trovato millenovecento-novantanove modi su come non va fatta una cosa’. Al tentativo numero duemila, Edison inventa la lampadina. Non siamo abituati a vedere il fallimento come parte integrante del nostro progetto di crescita. A spaventarci e a farci desistere, spesso ancora prima di iniziare, non è tanto il fallimento in se, quanto l’idea di metterci in gioco, di renderci vulnerabili. Eppure, senza rischio non si smuove nulla. Facciamo ancora fatica a capirlo, giriamo a largo dall’argomento quasi come se già nominare la parola presupponesse il fallimento stesso. Ma lasciamo Edison, e guardiamo la situazione in tempi più recenti. Jeff Bezos, meglio noto come Signor Amazon, partì come molti altri a sperimentare nel garage di casa. Nessuna certezza, ma in testa solo l’idea che se sappiamo già che le cose andranno bene, se siamo sempre coperti, se non scendiamo mai in campo davvero, non potremo mai essere creatori. Creatori, donatori di esistenza. Ripercorriamo rapidamente la storia dal principio, ma davvero dal principio: riesci a nominare un creatore che prima di lasciare al mondo la propria invenzione sapesse già cosa le sarebbe successo?
Ora ripercorri rapidamente la tua storia personale: hai mai raggiunto qualcosa velocemente, senza sforzo, con la certezza della buona riuscita di quell’azione?
Nel 2016, quasi 30 anni dopo quelle nottate in garage, Bezos scrive la sua lettera annuale agli azionisti di Amazon. È un elogio al fallimento, che si chiude così: fallimento e innovazione sono gemelli inseparabili.
Quand’è che iniziamo a cambiare? Da bambini il fallimento è quotidiano. Ogni bambino ha il proprio carattere, vive le sfide della vita in modo diverso. Eppure le vive. Nessuno rinuncia, e le sfide dei bambini sono sfide enormi. Nessun bambino ha rinunciato a imparare a scrivere, nessun bambino ha rinunciato alla libertà di una bicicletta. Tendiamo a sminuire le conquiste dei bambini, invece di proporzionare i loro traguardi alla loro età. Dovremmo osservarli attentamente, perché nelle loro ginocchia che sono più sangue, graffi e croste che pelle, si legge il loro bisogno di riprovarci, di risalire in sella traballanti, e di pedalare finché, caduta dopo caduta, non si sentiranno un po’ più grandi. E lo saranno davvero.

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