Era il 1929 quando lo scrittore ungherese Frigyes Karinthi (Budapest, 25 giugno 1887 – Siófok, 29 agosto 1938) nel racconto “Láncszemek”(ed.italiana “Catene”) rifletteva sull’incessante progresso e accelerazione della comunicazione fisica e verbale e su come impattasse sulla percezione dello spazio. Esattamente quarant’anni prima della nascita di Arpanet, la prima forma di telecomunicazione che permise la connessione di più computer in una rete; esattamente sessantadue anni prima della creazione del primo sito internet. Per Karinthi il mondo non era mai stato tanto piccolo come prima di allora. Ravvisava una contrazione, un rimpicciolimento del globo dovuto alla possibilità di poter entrare in contatto con chiunque in non più di sei passaggi, a prescindere da dove questa persona si trovasse, dal grado di notorietà e dallo stile di vita che conducesse. Con un po’ di disincanto e delusione, Karinthi realizza che il mondo senza confini partorito dalla nostra immaginazione, si rivela nella realtà più piccolo delle previsioni.
“Il mondo delle fate, dove prima si poteva entrare solo calzando stivali magici, ora è qui, intorno a noi, e ci ha perfino un po’ delusi, perché alla fin fine è un luogo molto più piccolo del mondo reale.”
Fu poi Stanley Milgram (New York, 15 agosto 1933 – New York, 20 dicembre 1984) negli anni ‘60 a concretizzare l’ipotesi dei sei gradi di separazione in una vera e propria teoria matematica e sociologica, chiamata la Teoria del Mondo Piccolo. Lo psicologo mostrò che due nodi di una rete complessa presente in natura possono essere collegati da un percorso costituito da un numero relativamente basso di collegamenti.
Chissà se Karinthi avesse mai immaginato o auspicato che la sua fortunata intuizione, grazie all’arrivo di nuove tecnologie e telecomunicazioni, sarebbe addirittura potuta scendere a meno di cinque passaggi, come misurato nel 2001 dai ricercatori dell’Università di Milano su dati forniti da Facebook.
Chissà quanti passaggi sono stati necessari al primo ministro neozelandese Jacinda Ardern che nel novembre del 2020 ha voluto partecipare ad un live streaming di Broxh, appassionato di whakairo, l’arte Maori dell’intagliare il legno. Broxh si è distinto nella rete anche per la sua umanità e genuinità, rifiutando le sottoscrizioni remunerative dei suoi follower per poter continuare con semplicità e libertà a condividere ‘giusto un pò di intrattenimento che tenga compagnia durante i lunghi periodi in casa dettati dalle norme anti pandemia’.
Alla luce di questo nuovo modo di comunicare che ha rivoluzionato il nostro quotidiano, acquistano ancor più valore le intuitive riflessioni di quell’ungherese in anticipo sui tempi.
Espansione e contrazione. L’eterno ritorno di ciò che è sempre esistito. Il bene trionferà sul male.
Perchè, in fondo, cambiano i mezzi e gli strumenti ma non cambia quell’innato istinto di esprimersi, di condividere, di riunirsi in una comunità, di trovare un ordine a ciò che apparentemente si presenta ai nostri occhi incomprensibile.
Questa spinta che ci muove alla costante ricerca di qualcuno o qualcosa che sappia rispondere ad ogni nostra domanda trova la sua occasione più grande proprio oggi. Nella potenzialità di poter venire in contatto con chiunque solamente attraverso quattro, cinque passaggi ci si dischiudono le porte dell’onniscienza. Ma è l’uomo in grado di padroneggiarla? La sua natura finita non si scontra crudelmente con ciò che da sempre ha voluto attribuire al divino? Questo senso di spaesamento di fronte a molteplici possibilità è forse sintomatico di un limite oggettivo?
Karinthi non ci abbandona e trova l’unica risposta possibile. Tirando le somme, alla fine della catena, l’ultimo anello a cui aggrapparsi che è anche fonte di ogni cosa, siamo noi stessi.
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