Nel corso dell’ultimo decennio, nei dibattiti dell’opinione pubblica occidentale, dai salotti della politica, passando per i talent-show fino alle tavole rotonde delle elités culturali, si registra una prevalente tendenza verso la ricerca del capro espiatorio, ovvero di un colpevole da sezionare sotto il lapidario e tranciante giudizio dei censori di turno.
Le origini della tragedia greca, hanno fornito le basi concettuali e filosofiche a questa tendenza, invero il termine tragodìa, sotto il profilo semantico discende dal “canto del capro” (tràgos, capro e odè, canto).
Nel culto di Diòniso, venivano sacrificati capri per celebralo, ed altresì questo animale totemico, era la manifestazione e al contempo l’incarnazione del dio, che catalizzava le sventure e le colpe della collettività, salvando la comunità e depurandola da ogni elemento disgregante.
Se nella società greca, la ricerca del capro espiatorio era orientata comunque al preservare la collettività da pericoli e garantirne la coesione ed armonica convivenza, lo stesso non possiamo dire nei nostri giorni.
Oggi assistiamo ad uno snaturamento delle categorie classiche, ad un abuso per mascherare derive individualistiche ed una insaziabile smania di protagonismo di molti opinion makers ed influencers improvvisati.
Nelle culture classiche il senso di colpa e la ricerca di un “capro espiatorio”, al netto di alcune forzature, aveva alla base una scala di valori e la ricerca di un equilibrio da rinsaldare di fronte ad ogni potenziale scivolamento all’indietro.
Invece nelle nostre fragili democrazie, si è passati ad una spettacolarizzazione dell’incolpare che non solo non ha alla base alcun sistema valoriale, ma che è incapace di porre ed allegare alla base del giudizio alcun elemento di analisi, crescita o approfondimento della situazione oggetto di giudizio.
Inoltre, spesso si lamenta nel sistema scolastico e lavorativo della rigidità delle strutture e delle dinamiche asettiche, inidonei a far crescere e maturare ambienti cooperativi, come avviene nei paesi scandinavi, all’interno dei quali al mantra capitalistico della serrata competizione si preferisce insegnare a cooperare verso un obiettivo comune.
Un momento di confronto, ma anche di crescita, per comprendere i propri limiti e provare a colmare le proprie lacune o semplicemente mettersi a disposizione ed offrire il proprio apporto.
Ma come ci ha brillantemente ricordato nella Favola delle Api Bernard Mandeville, la realtà umana è da sempre intrisa di contraddizioni concrete, il lato positivo è inscindibilmente legato a quello negativo, virtù e vizio sono connessi da un invisibile cordone ombelicale.
In questo quadro di continua instabilità forse una maggiore cooperazione, la ricerca dell’armonia, la valorizzazione dell’apollineo, la componente razionale e razionalizzante dell’individuo, contrapposta allo spirito dionisiaco, potrà Ri-bilanciare la tendenza all’eccesso, ovvero lo slancio inquieto e non appagato, l’ebbrezza e l’esaltazione che pare muovere ogni comportamento individuale e di molti gruppi organizzati.
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