Ritrovare l’equilibrio dilatando e sospendendo il tempo
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Il tempo è buon amico, il tempo è buon testimone, il tempo è denaro, il tempo è galantuomo, il tempo è gran medico, il tempo è una lima sorda, il tempo consuma ogni cosa, il tempo vola, ma nessuno ha veramente capito a cosa serva il tempo.

Fabrizio Caramagna

Uno dei concetti che attraversano e influenzano maggiormente la nostra vita è sicuramente il tempo, con il quale ci rapportiamo anche involontariamente nel corso della giornata, meccanicamente per scadenzare le nostre azioni e routine o più profondamente per meditare in che punto o stadio della nostra esistenza siamo.

Mediante il suo inquadramento, sia esso fermo al momento presente o proiettato al futuro, sia esso istintivo in risposta ad un evento o riflessivo e strategico, finiamo purtroppo per orientare tutto il nostro agire entro schemi rigidi e asfissianti, comprimendo oltremodo la spontaneità e ingabbiando il soffio vitale (prana).

Quando generalmente pensiamo al tempo l’immagine più ricorrente è quella di un quadrante bianco con numeri neri ai bordi su cui le lancette delle ore, dei minuti e dei secondi si rincorrono, tracciando cerchi sempre uguali. L’idea quindi del movimento, del cambiamento perenne ed incessante al quale dobbiamo però agganciarsi per non rimanere indietro e per non sentirci marginali.

Oppure la clessidra, due sfere di vetro collegate da un sottilissimo corridoio, una delle quali racchiude granelli di sabbia, che potrebbero essere identificati con le nostre idee, sentimenti, energie o azioni, che trasmigreranno nell’altra, lasciando una temporanea sensazione di vuoto, una trasformazione che si arresterà solo per qualche istante, una spinta in avanti che riprenderà nuova velocità appena si capovolgeranno nuovamente gli opposti.

L’età moderna e i costumi consolidatisi hanno certamente stravolto il concetto di tempo, oggettivandolo sotto la spinta scientifica e della metafisica, riducendolo a un qualcosa di misurabile e calcolabile, con l’ovvia conseguenza che ad esso abbiamo attribuito esclusivamente un valore materiale. Come ci ammoniva il filosofo tedesco Martin Heidegger, relegandolo a mero elemento da controllare o suddividendolo in unità si precludeva la vera e genuina conoscenza.

Se è vero che ognuno di noi può essere considerato un micro sistema dinamico all’interno di altrettanti sistemi dinamici collegati l’uno all’altro, conoscere equilibri e squilibri, osservare unioni e scontri, percepire contrazioni ed espansioni, sarà possibile solo se riconnettiamo correttamente il corpo all’ambiente esterno, recuperando in sintesi il nostro io.

Per liberare il concetto del tempo da queste asfissianti maglie sarà necessario preliminarmente dilatare o sospendere il suo scorrere. Per dare un’idea di queste modalità, pensiamo per un momento al dipinto La persistenza della memoria del pittore surrealista spagnolo Salvador Dalí, che raffigurò dentro una cornice onirica alcuni orologi che si stavano sciogliendo.

Nella frenesia ed asfissia moderna, sarà capitato a molti di vivere l’impressione che esternamente ed invisibilmente c’è qualcuno che plasma il nostro agire in fasi che sarà impossibile modificare motu proprio.

Se è innegabile che la struttura sociale consumistica non può essere modulata in base alla propria visione personale o all’occorrenza secondo i capricci del momento, in questa fase di incertezza ed instabilità sarebbe opportuno ed utile per ognuno di noi dilatare questi orologi e allungare gli spazi tra un numero e l’altro del quadrante, recuperando la capacità di vivere il momento e di ripensare le pause.

Riscoprire in sintesi la preziosa dimensione della lentezza, una quiete attenta, che non è mai stasi, ma rilettura dei particolari, delle sfumature ed esplorazione dei meandri più profondi che il mantra modernista della velocità ci ha fatto perdere; immergerci nel qui ed ora, per conferire alla dinamicità della vita la propria impronta personale che la meccanica del tempo rischia di stritolare dentro i suoi sordi ingranaggi.

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