Ti ricordi quando hai aperto gli occhi stamattina?
Qual è stato il primo sapore che hai sentito, il primo rumore, il primo muscolo mosso?
Hai fatto colazione? Davvero, intendo.
Forse ci sono gesti che diventano routine, ci sono movimenti, transizioni, passaggi che dobbiamo compiere per spostarci da un punto della giornata ad un altro, da un luogo all’altro, da un impegno all’altro. Meccanicamente.
Corriamo, corriamo, corriamo… e ci ritroviamo senza accorgercene alla fine di un’altra giornata che ci scivola tra le mani—stanchi morti—a pensare a cosa abbiamo portato a casa.
Fermati, respira.
Come pensi di riuscire a prestare attenzione agli altri, se non inizi a prestare attenzione a te prima?
Non possiamo regalare tempo ed energie come fossero fazzoletti di carta.
Tu hai bisogno di te.
‘Ma non ho tempo’: quante volte lo dici? Eppure il tempo c’è… Se non ti distrai. Il tempo c’è…
Se dedichi il giusto peso ad ogni cosa. Certo, ci saranno giornate più pesanti, giornate più libere, ma noi dobbiamo avere potere su questa scansione del tempo. Dì di no, non ti sovraccaricare: staccati e riconnettiti.
Usa i ritagli, i transiti che diventano viaggi, i momenti di attesa, non per riempirti la testa di altri pensieri, ma per ricordarti che fuori dalla nuvola delle tue preoccupazioni c’è un mondo che non è per forza ostile: è ispirazione e nutrimento, è vita che scorre comunque.
Qui a New York si corre tanto, forse troppo, ma non ci si può aspettare altro da questa città.
Eppure sono fortunato, perché New York è un continuo aprire gli occhi, e non per i grattacieli, ma per la vita che ci scorre dentro.
Prendo la metropolitana ogni giorno, e in questo transito di routine tra casa e lavoro, io viaggio. L’altro giorno un paio di signori con il borsone da palestra parlavano dei loro allenamenti, confrontandosi su chi sollevasse più peso, su chi ingerisse meno calorie. Finché uno dei due non ha detto questa frase: Il cibo per me non è altro che nutrimento. Io vedo calorie, non gusto.
Non conosco la vita di quei due ragazzi, non sta a me giudicare le loro scelte, ma il loro parlare ha aiutato me a riflettere su quella frase. Quanto faccio caso a quello che faccio? Quante delle mie scelte sono prese con consapevolezza? E non parlo delle grandi scelte, parlo del quotidiano. Quanto peso dò a me stesso? Cosa ne è del tempo che mi porta da una parte all’altra, da un momento all’altro? Quale gusto dò a quello che faccio, alle relazioni che vivo?
Se viviamo a mille, col paraocchi, dritti e di corsa a fare ciò che bisogna fare, senza ascoltarci per capire cosa invece bisognerebbe fare, se non ci ricordiamo il perché, l’origine, non possiamo andare a modo nostro verso il come, verso la meta.
Seguiremo gli altri, il loro modo, il loro gusto, il loro tempo.
Forse non abbiamo molto tempo, ma quel tempo che abbiamo dev’essere nostro.